Un’ossessione per alcuni, una mania per molti, che si traduce in almeno 93 milioni di autoscatti al
giorno nel mondo, oltre 1000 al secondo: i selfie sono il
sintomo di un grave disagio diffuso, che porta a riconoscere noi
stessi solo attraverso lo sguardo di chi ci osserva nello
scatto; un disagio che molto ha a che vedere anche con i
disturbi del comportamento alimentare (anoressia e bulimia).
Lo spiega Giovanni Stanghellini del Dipartimento di
Scienze Psicologiche, della Salute e del Territorio
dell’Universita’ di Chieti e autore del libro “Selfie – Sentirsi
nello sguardo dell’altro” (Feltrinelli).
“Videor ergo sum”, esisto in quanto vengo osservato da
qualcuno, e’ questo il nuovo io all’epoca dei selfie – spiega
Stanghellini. “Il se’, insomma, ‘prende corpo’ solo attraverso lo
sguardo dell’altro, solo perche’ qualcuno guarda il mio selfie;
abbiamo bisogno di un pubblico per esserci”.
Il problema, continua l’esperto, e’ tanto piu’ acuito dal fatto
che “lo smartphone, che consente un numero illimitato di selfie
in ogni istante della vita, non e’ un semplice dispositivo
tecnologico esterno al corpo di una persona, come poteva essere
una macchina fotografica – rileva l’esperto; e’ una vera e
propria protesi integrata nei nostri corpi, ormai cosi’
indispensabile che per molti di noi e’ difficile immaginare la
propria esistenza in assenza di essa”.
Secondo Google Statistics sono almeno 93 milioni i selfie
scattati ogni giorno, e sugli smatphone dei giovani c’e’ un
selfie ogni tre foto fatte, tanto che si stima che i
‘millennial’ (i nati tra il 1981 e il ’96) scatteranno oltre 25
mila selfie nella propria vita.
La pratica del selfie e’ evidentemente endemica, sottolinea
l’esperto, e anzi a livello psichiatrico si e’ presto inquadrato
il fenomeno del selfie, coniando termini come “selfite” per
designare una forma patologica di abuso dell’autoscatto, in
altri termini il selfie compulsivo; (la selfite si definisce
cronica quando vi e’ un incontrollabile bisogno di scattare foto
a se’ stessi, 24 ore su 24, postandole su Facebook e Instagram
piu’ di sei volte al giorno). “Il punto pero’ non e’ tanto quello
dell’abuso del selfie – sottolinea Stanghellini – quanto il
fatto che il selfie e’ il sintomo di una mutazione della
condizione umana”.
L’autoscatto crea un rapporto mediato e posticcio con la
nostra immagine, spiega, e, come nel caso dei disturbi
alimentari, il problema di base e’ la difficolta’ di sentire il
proprio corpo, sempre piu’ comune in un’epoca in cui impera la
societa’ dello spettacolo e dell’immagine. “Tramite il selfie e
cioe’ sentendoci visti dagli altri, riusciamo a sentirci”,
conclude l’esperto spiegando che l’antidoto a questa condizione
di fragilita’ e’ ritrovare un contatto autentico (non virtuale)
con se stessi e con gli altri.