Un giorno sì e l’altro pure bisogna individuare un “nemico” da colpire. Meglio se questi è di quelli potenti e super rispettato. Insomma, un soggetto che per la sua collocazione politica, economica o sociale è in vetta alle classifiche dell’audience dei media. E’ toccato anche al pacifico e diplomatico presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sentirsi minacciato d’impeachment, a norma dell’art. 90 della Costituzione, per aver fatto solamente il proprio mestiere di capo dello Stato. Solo che quelle determinazioni assunte più che legittimamente dal presidente non erano scritte nel copione dei suoi accusatori. Chissà come avrebbe reagito “Re” Giorgio, Napolitano, quando alloggiava al Quirinale difronte a minacce del genere.

C’è chi dice che sparare ad obiettivi alti può servire anche, in alcuni casi, a spostare l’attenzione della pubblica opinione dalle questioni interne di basso profilo: dai litigi, dalle incomprensioni, dagli sgambetti degli amici-nemici. Luigino Di Maio non se la passa bene nell’ultimo periodo, in particolare per le contestazioni che gli vengono dai “suoi”. E nemmeno i tricche tracche di notizie sparate all’uopo per provare a far “cambiare discorso” alla pubblica opinione, in certi casi, servono allo scopo. Quando hai predicato per una vita che certe cose non si sarebbero mai fatte, eppoi una volta al governo le fai, le reazioni te le devi aspettare.

Una delle accuse più pesanti che ha investito Gigino in questi giorni è quella della Tap, ovvero del Trans Adriatic Pipeline. Parliamo del gasdotto che dall’Albania dovrebbe arrivare sulle coste della Puglia. Precisamente a San Foca, che è una frazione di Melendugno, in provincia di Lecce. Il Movimento 5 Stelle durante la campagna elettorale era stato più che chiaro: una volta nella stanza dei bottoni il gasdotto sarebbe stato fermato. Una cosa però è stare all’opposizione un’altra è essere il vice-presidente del “governo del cambiamento”. Ci avrà pure provato Di Maio a bloccare il progetto, ma poi ha dovuto cedere le armi. Difronte a venti miliardi di euro di risarcimento danni, secondo il ministro dello Sviluppo economico, non era possibile fare dietrofront. Gli risponde a stretto giro l’ex ministro Carlo Calenda: “nel contratto della Tap non ci sono penali, è un’opera privata a cui lo Stato ha dato il consenso per la realizzazione, nessuna carta segreta”. Nel caso, quindi, di blocco ci sarebbero da pagare solo risarcimenti alle aziende coinvolte in quanto non esiste alcun contratto tra lo Stato ed il consorzio che si occupa della realizzazione dell’opera. Una risposta del genere Luigino se la doveva aspettare, ma lui va diritto per la sua strada. Immaginarsi se si spaventa difronte alle precisazioni di un novello Pidiellino come Calenda.

Se sul fronte Tap c’è stato un dietrofront alle posizioni eternamente espresse dal MoVimento, sul versante Tav c’è invece un’avanti tutta affinché l’opera non venga realizzata. I 23 voti a favore della mozione del Consiglio comunale di Torino che chiede di fermare la costruzione dell’Alta velocità in attesa che venga fatta l’analisi dei costi-benefici, è senz’altro una bella vittoria. Ovviamente da super-esaltare, nella speranza di far dimenticare il passo favorevole al gasdotto. La sindaca di Torino Appendino, che teoricamente dovrebbe essere contro la Tav, al momento della discussione in Consiglio sulla materia era impegnata a Dubai. Una combinazione un po’ strana che fa gridare ai duri e puri dei 5Stelle che la prima cittadina di Torino è volata via per non “mettere la faccia” al provvedimento.

Se li potesse cancellare via con un colpo di spugna lo farebbe immediatamente, decisionista qual è, Matteo Salvini. Ma non può, almeno per il momento. Deve sopportare pazientemente i vari “moti perpetui” dei suoi alleati e difendere a spada tratta Luigino Di Maio, anche se alcune uscite di quest’ultimo lo hanno fatto incazzare nero. Fino alle prossime europee il mosaico non va toccato, poi si vedrà. E’ sicuro il Matteo padano di fare “Bingo” alle prossime elezioni, ma non basta. O supera il 50% dei consensi o deve, purtroppo, “sopportare” un alleato per poter mettere piede a Palazzo Chigi. E di possibili alleati per ora c’è solo Gigino e company. Certo, c’è Berlusconi che rompe, ma il vero problema restano i grillini. C’è sempre il rischio di accordi con i democratici e con gruppi affini come vanno teorizzando in molti. Il futuro è una vera incognita… soprattutto per il Paese.

di Elia Fiorillo