Viene bollato come regista morale di una operazione finalizzata ad assicurare un posto di ricercatore al figlio dell’ex ministro della pubblica istruzione Ortensio Zecchino. Nel pieno dello scandalo nazionale sulle cattedre universitarie (parliamo dell’inchiesta nata a Firenze), non passa inosservata la svolta investigativa impressa di recente dalla Procura di Napoli: sotto inchiesta finisce il rettore dell’università Suor Orsola Benincasa Lucio D’Alessandro, che deve rispondere di un’ipotesi di abuso di ufficio; ma anche gli altri membri della commissione, vale a dire Giovanni Coppola, Anna Giannetti, Alessandro Viscogliosi, per i quali è ipotizzata anche l’accusa di falso.
Ai quattro indagati è stato notificato un avviso di chiusa inchiesta, al termine delle indagini condotte dal pm Graziella Arlomede, magistrato in forza al pool guidato dal procuratore aggiunto Alfonso D’Avino. Una inchiesta che si insinua nel pieno di un contenzioso dinanzi al Tar aperto dal ricorso di una candidata al ruolo di ricercatore assegnato – nell’ormai lontano 2004 – a Francesco Zecchino. Né Ortensio Zecchino, né il figlio Francesco sono indagati, mentre l’iter amministrativo è approdato per due volte dinanzi al Tar e al Consiglio di Stato e non è ancora concluso.
Ma entriamo nel merito dell’inchiesta sulla valutazione resa in questi anni da due commissioni di concorso in favore di Francesco Zecchino. In ballo il posto di ricercatore a Lettere (storia dell’architettura e storia dei giardini), in prima battuta la commissione premia Zecchino jr. Scatta il ricorso della competitor Maria Losito, per il quale sia il Tar che il Consiglio di Stato dichiarano la valutazione dei prof come un atto illegittimo, «in considerazione dell’evidente svalutazione dei titoli accademici e della prova d’esame della concorrente Maria Losito, di cui riconosceva la prevalenza». Siamo nel 2008, quando la stessa commissione, nonostante le pronunce del Tar e del Consiglio di Stato, si riunisce per confermare la prima valutazione: quel posto di ricercatore – insistono i giudici – deve andare a Francesco Zecchino.
Scatta un nuovo ricorso, dal mondo degli studi e della ricerca scientifica, si passa di nuovo alla giustizia amministrativa, che dispone una nuova valutazione dei candidati da parte però di una diversa commissione, «sì da assicurare neutralità e imparzialità dei giudizi, invero carenti nella prima valutazione». Ed è a questo punto – siamo nel 2011 – che entrerebbe in gioco – come «concorrente morale» e come «regista» – il rettore D’Alessandro. Qual è l’accusa? Avrebbe individuato come nuovo commissario un docente del suo istituto – parliamo del professor Coppola – che è anche fondatore e componente di un organismo di studi che ha tra i suoi vertici sia Ortensio Zecchino, che il figlio Francesco.
Una sorta di conflitto di interessi, secondo la Procura, che rileva che i criteri di imparzialità e neutralità del giudizi sono tutt’altro che garantiti. Scrivono i pm: «Coppola è fondatore e componente del consiglio direttivo del Cesn, Centro europeo di studi normanni di Ariano Irpino, istituto a cui partecipano il contro interessato Francesco Zecchino ed il padre di questi Ortensio, fondatore anch’egli e presidente del Consiglio di amministrazione dell’ente». Quanto basta, nell’ottica della Procura, ad ipotizzare la volontà di favorire il figlio dell’ex ministro. Di tutt’altro avviso docenti e commissari coinvolti.
LA REPLICA DEL RETTORE: “Comportamenti sempre legittimi e trasparenti”
“L’eco mediatica della notizia mi addolora e mi sorprende, tanto più che interviene in un momento in cui è forte il rischio che questa vicenda si confonda con fatti di natura profondamente diversa. Per quanto personalmente addolorato sono, però, assolutamente sereno circa la legittimità dei miei comportamenti e, soprattutto, nutro piena fiducia nel lavoro della magistratura. Tanto che avevo più volte ripetuto di volermi astenere da qualsiasi dichiarazione”: così il rettore del Suor Orsola Benincasa di Napoli, Lucio D’Alessandro. “Nella mia veste di Rettore – aggiunge – sono convinto di aver tenuto sempre comportamenti legittimi e trasparenti. Resto convinto che la magistratura avrà modo di chiarire correttamente i termini di questa vicenda”, conclude D’Alessandro.
Il codice per truccare i concorsi dettato dal Prof. Amatucci Firenze. A volte basta un poco di zucchero e la pillola va giù. Anche l’esclusione immotivata dal concorso per l’abilitazione all’insegnamento universitario sembra meno amara se motivato con le frasi giuste. Deve aver pensato questo il professor Fabrizio Amatucci, uno dei sette arrestati due giorni fa con l’accusa di avere truccato l’esito delle selezioni nazionali. Deve aver immaginato che l’importante era rendere credibile quei giudizi ingiusti, tanto incredibili che anche le sue allieve, commentandoli in sua assenza, esprimono sdegno rispetto all’esclusione di un candidato supertitolato, il professor Giuseppe Ingrao di Messina. «Ma come fai a non metterlo dentro questo? Come fai?» sbotta Roberta Alfano dopo che Maria Giovanna Petrillo le ha detto che il docente associato all’ateneo siciliano «è dotato della produzione più varia, povero cristo… Tocca tutto, tutto lo scibile della speciale, alla generale, alla processuale».
«Come fai a lasciarlo fuori?», si chiedono le due che hanno esaminato i curricula dei vari candidati e quindi sono consapevoli che si sta consumando un’ingiustizia. Il come lo spiega Amatucci quando detta a entrambe il giudizio da riportare per motivare la mancata abilitazione del siciliano. Scegliere espressioni diplomatiche, usare termini che potessero nascondere la verità: è il codice Amatucci. L’abilitazione per i docenti universitari avviene, secondo la procura di Firenze, se sei nella lista di una delle fazioni che giostrano il concorso annuale. L’elenco di Amatucci, agli atti secondo quanto detta il professore spagnolo Lopez Espadafor a un altro docente coinvolto, Giuseppe Zizzo, ci sono ventotto nomi di papabili suddivisi in due gruppi di seconda fascia, tra i quali sei probabili da abilitare, e un gruppo di prima fascia con quattro nomi discutibili.
Per tutti gli altri occorre tagliare quindi Amatucci usa, appunto, una sorta di codice, un gergo con il quale rendere accettabili giudizi altrimenti incomprensibili. Il 10 marzo del 2015 nel suo studio detta alle allieve cosa scrivere rispetto a Giuseppe Ingrao. Petrillo le fa notare che «non può essere attaccato sul piano della ricerca», ma Amatucci sa come superare l’«ostacolo». Per quelli che «hanno tutto», spiega, si deve scrivere che «non ha la maturità». La Petrillo, che oggi insegna diritto tributario alla Sun a Santa Maria Capua Vetere, e consiglia ai propri allievi proprio un testo di Amatucci, dimostra di aver inteso. Quindi aggiunge «non c’è rigore metodologico adeguato alla trattazione delle tematiche». (IL MATTINO)