Le riaperture graduali decise dal governo generano preoccupazione ma anche sentimenti di speranza
tra medici e scienziati che da oltre un anno combattono la
pandemia su diversi fronti. Tuttavia, quali che siano gli
argomenti a sostegno o contro l’allentamento delle misure
restrittive, la parola d’ordine e’ ‘prudenza’.
Per Andrea Crisanti, una delle figure piu’ ascoltate di questa
emergenza, la scelta dell’esecutivo non e’ proprio una buona
idea. “Non ci sono i numeri per riaprire ristoranti, palestre e
cinema. I dati che abbiamo non giustificano queste decisioni del
governo. Vorrei capire cosa e’ stato calcolato e ragionato,
quanti morti siamo disposti a tollerare”. Non solo: secondo il
microbiologo dell’Azienda ospedaliera di Padova “non si vaccina
con alti livelli di trasmissione, e’ un azzardo biologico. In
questo modo si da’ al virus l’opportunita’ di mutare. Siamo
governati da persone che non hanno gli strumenti conoscitivi
giusti”. A partire dal Cts: “nel primo non c’erano persone
competenti, nel secondo i competenti sono in minoranza”.
Ancor piu’ dura la posizione degli anestesisti, che per bocca
della loro presidente si dicono “rassegnati ma ubbidienti”. “Noi
non abbiamo notato grandi differenze dal punto di vista clinico
rispetto ad altri periodi, quindi le riaperture ci lasciano
perplessi. Non ci sono le premesse per sentirsi sicuri. Sappiamo
che i contagi ricominceranno”, sottolinea Flavia Petrini,
presidente della Societa’ italiana di Anestesia, Rianimazione e
Terapia Intensiva (Siaarti). E spiega: “Per quanto riguarda noi,
nulla e’ cambiato. Gestiamo tutti i giorni pazienti gravi, non
abbiamo requie, siamo sempre gli stessi, il calo in piccoli
numeri nelle terapie intensive non ci rassicura. Quando si
allentano le restrizioni, dopo 2-3 settimane i pazienti
ricominciano ad arrivare”.
Usa toni poco concilianti anche il virologo Roberto Burioni
che su Medical Facts invita a “usare la liberta’ che ci viene
concessa con giudizio, perche’ se ci comportiamo da idioti
potremmo perderla molto a breve per riacquistarla chissa’ quando,
con relativi danni sociali, economici e culturali”. Burioni
sottolinea che se “decidere riaperture e chiusure spetta alla
politica, pero’ la scienza puo’ fornire utili basi”.
Sulla stessa linea Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Universita’
di Milano,
che nella decisione di riaprire le attivita’ vede, “un rischio
oggettivo”.
Piu’ positivo l’approccio di Enrico Di Rosa, direttore del
Servizio Igiene Sanita’ pubblica dell’Asl Roma 1, che conta un
bacino di 1 milione di persone: “Stiamo cercando di ritrovare la
sostenibilita’ , le riaperture sono nella logica di gestione di
questa situazione emergenziale, rimanendo attivi senza perdere
la sicurezza. E’ ragionevole, come ha detto il premier Draghi,
allentare qualcosa e dare segnali di ripresa”.
Argomento appoggiato anche da Marcello Tavio, presidente della
Societa’ italiana di malattie infettive. “Questa e’ la tipica
situazione in cui tutti hanno un po’ di ragione. Le posizioni
sono sfumate, non c’e’ uno scontro tra chi vuole riaprire tutto e
chi e’ per un lockdown totale. Riconosco le diverse posizioni e
penso che un cambiamento di rotta adesso sia necessario”. E
conclude: “E’ ragionevole dare alle persone un segno di
cambiamento e di ottimismo. Si puo’ cominciare a tornare verso la
normalita’ , non certo alla normalita’ piena. E questo e’ un
obiettivo condivisibile, mettendo in campo qualche cambiamento
ma senza deresponsabilizzare la gente”.