Una rete di 50 associazioni lavora m silenzio per gli homeless di Roberto Russo lo so bene: la solidarietà non va sbandierata. Ancora peggio se, come in questo caso, ne scrivo da giornalista e volontario. Da qualche mese infatti ho iniziato la mia esperienza il lunedì sera con «Gli angeli di strada di Villanova», quartiere Posillipo . Ma a costo di contravvenire alla loro raccomandazione («non farci pubblicità») credo che a questi amici meravigliosi vada concesso almeno un riconoscimento. Una sola condizione mi hanno posto: niente cognomi. E non li farò. Loro sono esponenti della Napoli-bene che hanno scelto la via dell’operoso silenzio in favore degli altri. Luca, Alessandra, Brunella, Sergio, Alberto, Chiara, Valentina, Andrea, Marika, Stefania, Elena, Annalisa, Lorenzo, Sasà e — mi perdonino i non citati ma vado a memoria — che compongono il gruppo degli «Angeli», mi stanno insegnando come si possano abbandonare per giorni professioni anche redditizie, famiglie e problemi personali per dedicare tempo, soldi e salute a chi ha bisogno. Da sei anni consegnano 140 pasti a chi vive in mezzo alla strada. Pasti completi: primo, secondo, frutta, dolce, acqua e in aggiunta una busta contenente panino e dolcetto per la colazione del giorno dopo. Ci sono aziende e ristoranti che aiutano (Paolo Graziano, presidente di Confedilizia; Giorgio Spaziani Testa, presidente Magnaghi Aeronautica; i Bagni Elena, il ristorante Haché, il pub Blackwood, II miracolo dei pesci). Prima si consegnavano i pasti con i motocicli, ora con le auto. Ho iniziato imparando il «mestiere» dal confezionamento-pacchi. Facciamo parte di una rete di almeno 50 associazioni che copre l’intera città sette notti su sette. Ci dividiamo strade e piazze. A noi di Villanova, sede operativa la Parrocchia di Santa Maria della Consolazione, tocca il lunedì. Ð coordinamento tra i gruppi (assolutamente laici e volutamente scollegati da qualsiasi ente o associazione) funziona con una chat dedicata. Se c’è un nuovo senzatetto da aiutare si individua e si cerca di intervenire al meglio, compresa l’assistenza medica e quella legale. Indossiamo gilet gialli, i nostri amici di strada, vedendoli, già sanno che possono fidarsi. Li andiamo a cercare «a domicilio» gli invisibili. Costretti a nascondersi sotto cumuli di cartone, stracci, coperte logore, rifugi improvvisati di legno e lamiera. Li vediamo spesso dormire sui marciapiedi. Ri cordo una delle ultime uscite con Valentina e il suo compagno: ci avevano segnalato la presenza di una donna che dormiva avvolta negli stracci lungo via Galileo Ferraris, di fronte all’ufficio stranieri della Questura. Ci andiamo in tré, il compagno di Valentina attende in auto perché la sicurezza prevede che vi sia sempre uno al volante nel caso occorresse fuggire. A me non è ancora capitato di essere aggredito a bottigliate da senzatetto ubriachi, ma ad alcuni dei miei amici sì e bisogna stare attenti. La strada è buia, accendiamo le luci degli smartphone per vedere meglio. Il marciapiedi è sporco e sconnesso, ovunque pezzi di legno e bottiglie rotte, ma nulla che assomigli a un essere umano. Stiamo quasi per fare dietrofront quando scorgo in lontananza un fagotto di colore chiaro. Decidiamo di andare a vedere. Da vicino il fagotto rivela una sagoma. Gridiamo: «Signora! Signora!». Dopo un po’ di attesa emerge la testa di una donna avvolta in un cappello di lana. Penso con orrore che un passante, nel buio, potrebbe calpestarla inavvertitamente. At- La vicenda • Sì chiamano «Angeli di strada», sono volontà ri quasi tutti professionisti, che da sei anni consegnano circa 140 pasti ai meno fortunati che vivono in strada Fanno parte di una rete di almeno 50 associazioni che copre il fabbisogno dell’intera settimana Gilet Gialli Una foto degli Angeli di strada A destra: l’autore dell’articolo e la volontaria Brunella torno a lei resti di pizza, panini, cartacce, lattine. Le diamo il cibo e la invitiamo almeno a ripararsi so
tto un ponte û vicino. Non ne vuoi sapere. Le strade del Centro direzionale di notte diventano uno dei principali rifugi degli homeless. Ma bisogna stare allerta: l’alcol e la solitudine producono rabbia. Dietro una muraglia in cemento sentiamo urlare e cantare a squarciagola. Ci avviciniamo. Un uomo con accento dell’Europa orientale ripete: «Sono ubriaco, ho bevuto…». Anche per lui cibo e qualche parola di conforto. Ci indica l’altro muragliene a dieci metri. «Lì c’è amico ucraino». Non assistiamo solo stranieri. Tanti, tantissimi napoletani incontriamo nelle nostre notti. Come Maria, una distinta senzatetto: ex insegnante di latino in un liceo, è stata sgomberata perché la sua casa rischia di crollare. Non aveva nessuno che la potesse ospitare. Ora si trattiene in piazza Bovio, un altro luogo di raduno. Una signora polacca ci chiede vestiti pesanti per i suoi bimbi. Lei una stanza ce l’ha ma guadagna troppo poco per comprare vestiti e cibo. L’ultima immagine che mi viene in mente è quella di Claudio, napoletano. Avrà una settantina d’anni. Vive nel buio del Parco Virgiliano, ridotto allo stato di animale selvatico. Dorme sotto i pini, nel posto più ventoso di Napoli. Ho sempre paura di ritrovarlo sconfitto dal freddo. Se esiste un Dio prego che lo protegga.