di Elia Fiorillo

La “sceneggiata napoletana” nasce come un sotterfugio, un trucco per aggirare il fisco. Dopo la disfatta di Caporetto nel 1917 il governo ha bisogno di soldi e, quindi, tassa gli spettacoli di varietà che ritiene frivoli e degradanti. La “sceneggiata” invece si compone di canto, di recitazione e di un monologo drammatico. Negli anni settanta la rilancia Mario Merola con gl’immancabili “isso, essa è o’ malamente”.

Ai tempi odierni pare che l’abbiano riscoperta ed adottata i politici, in particolare quelli al governo. Per far presa sull’opinione pubblica ricorrono spesso a figure emblematiche negative, secondo la loro narrazione. “O’ malamente” che turba i sonni e gli interessi “d’isso e essa”. Il “cattivo” da cui difendersi una volta è l’emigrante, un’altra l’Unione Europea, un’altra ancora chi non la pensa come gli inquilini di Palazzo Chigi. E via proseguendo. Anche i costumi nella sceneggiata napoletana avevano la loro importanza. Il “buono” poteva pure non aprir bocca, ma subito si capiva da com’era vestito da che parte stava. Anche l’abbigliamento del politico è diventato elemento essenziale del messaggio da dare a “isso e essa”. Giubbotto da poliziotto indossato mentre si va ad una manifestazione “per l’ordine e la sicurezza”. Oppure, una maglietta colorata per sottolineare la partecipazione ad un particolare evento gioioso. O, tutt’al contrario, nero fumo con scritte di solidarietà, per testimoniare vicinanza a chi ha subito un torto. Poi ci sono i viaggi, con tutti i mezzi possibili, per essere sul luogo del fatto positivo, negativo o neutro che sia, per far sapere al mondo intero che lo Stato c’è sempre… in televisione. Se così non fosse ci troveremmo difronte ad attori di sceneggiate che sul palcoscenico non si muovono, sono fermi mentre recitano il copione: non un sorriso, non una rincorsa, non un’alzata di spalle e via dicendo. Cosa impossibile: il movimento prima di tutto, anzi tutti gli atti ipotizzabili per stare sulla scena (dei media, si capisce) il più allungo possibile.

Poi ci sono alcune parole che vanno pronunciate sempre, in ogni occasione, perché il “popolo” non le deve mai dimenticare. Una di queste è, appunto, il Popolo che è sovrano, che decide tutto lui attraverso, ovviamente, i suoi rappresentanti. La manovra del Popolo, il governo del Popolo e più viene utilizzato questo termine più sembra un esorcismo. Un modo per appropriarsi di un consenso che spesso non c’è. Pare che la realtà certi nostri governanti nostrani non sanno proprio che sia, così presi dai loro convincimenti precostituiti. È come se ogni mattina, nel guardarsi allo specchio, ripetessero per ore: io ce l’ho… le idee per cambiare l’Italia. Solo io ce l’ho…. E via proseguendo.

Poi c’è il Sovranismo che porta i nostri governanti a sostenere di non aver bisogno di nessuno. Anzi, sono gli altri che hanno bisogno della penisola più bella del mondo. E giù botte (parole) da orbi sull’Unione Europea, una “stupidaggine” di cui volentieri si potrebbe fare a meno. Burocratici, quelli di Bruxelles e Strasburgo, che passano il tempo a rompere i cabasisi, o zebedei che dir si voglia, a un Paese virtuoso, super virtuoso. C’è poi l’immancabile marcia indietro quando quelli di Bruxelles s’incavolano e non si smuovono dalle loro posizioni “burocratiche”. Spesso a rimettere le cose apposto, come avviene nelle sceneggiate, è “l’uomo di panza”, ovvero il presidente del Consiglio, che deve mediare tra i suoi due “vice” ed il resto del mondo. Sulla “panza”, meglio sullo stomaco, a Giuseppe Conte è molto probabile che gli stiano certe uscite senza capo ne coda di Salvini e Di Maio. Ma che fare? Mandarli a “quel paese” non si può. L’unica cosa da fare è continuare a lavorare sottobanco con ago e filo, per cucire, rattoppare. Il rischio che corre è essere silurato dai suoi vice-padroni. E, certamente, i dati pubblicati di recente che gli attribuiscono il mantenimento, dopo sei mesi di attività, del 60% dei consensi da parte del popolo italico, più dei precedenti esecutivi, non può che inorgoglirlo. Fino ad un certo punto però. C’è il dato che lo spaventa e cioè il forte calo della fiducia degli italiani per Di Maio, 43%, e Salvini, 56%. Forse Salvini si sbaglia nel pensare che gli italiani fanno, come lui, colazione con la Nutella. No, solo latte, frutta e marmellata. Tutti prodotti naturali.