Si alza tutto in piedi applaudendo il pubblico della grande Sala Sinopoli all’Auditorium ieri sera quando entra Aviva Bar-On, 87 anni, sopravvissuta di Auschwitz dove entrò bambina, cantante di origine Ceca e oggi israeliana, che poi intona nella sua lingua natale ”Quando giacevo a Terezin” tenera, consolatoria canzone sui bambini malati nel lager, scritta da Ilse Weber con cui condivise la prigionia. E’ il momento culminate di ”Libero il mio canto”, concerto per il Giorno della Memoria (che sarà il 27 gennaio), dedicato quest’anno alle musiche di donne deportate, spesso scritte proprio nei lager, quelli nazisti innanzitutto, ma anche i Gulag sovietici o i campi di guerra giapponesi. Se lo scopo dei campi era schiacciare l’essere umano annientandolo nel corpo e nello spirito, come ha sintetizzato Anna Arendt, queste musiche e canti sono qui a testimoniare che il progetto non riuscì, se tanta arte e anelito alla vita continuarono a trovare spazio e creatività nel comporre musica, a volte con il consenso degli aguzzini, a volte di nascosto, pur nell’orrore che avevano attorno, come ha ricordato Paola Pitagora, che ha introdotto la serata, ogni brano e ricordato le figure delle autrici. Ma se oggi tutto questo riesce a rivivere lo si deve a Francesco Lotoro, che ha suonato il piano e diretto l’ensemble Lagerkapelle e il coro Ilse Weber con quello di voci bianche di Santa Cecilia e la straordinaria voce solista di
Cristina Zavalloni. Lotoro gira da trent’anni tutto il mondo per
recuperare musiche e canti nati in prigionia tra il 1933 e il
1953, riscrivendo, ricostruendo, registrando e avendone
archiviate ormai oltre ottomila di musicisti di ogni genere e
fede, dagli ebrei ai rom ai cristiani e ogni altra religione e
popolo, alla fondazione Istituto di Letteratura Musicale
Concentrazionaria, fondata con la moglie Grazia Tiritiello a
Barletta e sorretta anche da contributi privati grandi e
piccoli.
Questi canti, queste parole struggenti hanno trovato nella
Zavalloni un’interprete partecipe e capace di mettere vita e
sentimento in quel che canta, pezzi spesso di bel valore
musicale, che modificano la comune percezione della musica
scritta dalle donne e pongono l’accento sulla discriminazione di
cui le compositrici sono e sono state oggetto. Il concerto ha
così ricordato, oltre a Ilse Weber, la polacca Teresa Chwjeiczak
e Stanislawa Gaskowa (imprigionate a Sachsenhausen, la prima
autrice di un inno di dolorosa speranza e la seconda di un canto
per la mamma); la russa Zinaida, di cui si sa solo il nome; la
morava Ludmila Peskarova (riscrittura per solo coro del largo
dalla Sinfonia dal Nuvo Mondo di Dvorak – lager femminile di
Ravensbruck), la tedesca Camilla Mohaupt (autrice di una
sofferta invocazione, che fece parte dell’orchestra femminile di
Auschwitz Birkenau), la polacca Bela Bogarty (un Canto di
disperazione – campo femminile di Parschnitz), Margaret Dryburgh
e Nora Hope (‘Bolero’ di Ravel per solo coro femminile – lager
giapponese a Sumatra), l’italiana di Livorno Frida Misul (canto
Vogliamo tornare per il Kippur – Ravensbruck), la lettone
Johanna Lichtenberg (un canto lirico e di liberazione guardando
al cielo – ghetto di Riga e campo sconosciuto), la lituana Leah
Rudnitski (una tenera Ninna Nanna – Treblinka), Rena Hass
(poetico canto ‘Prima dell’ultimo viaggio’ – Birkenau e Bergen
Belsen – donna dalla vita davvero esemplare, sempre pronta alla
lotta, alla resistenza, nei ghetti e nei campi, e poi capace di
ricostruirsi totalmente una vita in America dopo la liberazione,
divenendo un’importante ricercatrice biologa).
I loro canti raccontano storie private e inedite della vita
delle prigioniere, restituendoci la loro umanità e singolarità
che punta sulla sofferenza femminile e sul desiderio di pace, di
amore e di accoglienza di cui le donne sono portatrici, cosa che
ci sembra particolarmente significativo in questo momento
storico, ricordano Viviana Kasman e Marilena Francese, che hanno
promosso il Concerto con la loro Memoria in Scena, sotto l’egida
della Presidenza del Consiglio e l’Ucei.