Per la quarta volta consecutiva a Cannes, un record. Marco Bellocchio, il primo degli italiani in cartellone, torna in concorso con «Rapito», accolto ieri al Grand Theatre Lumière tra molto applausi. Il primato non lo inorgoglisce particolarmente: «Prima della Palma d’onore a Cannes non avevo vinto nulla. Quindi se anche stavolta non dovesse arrivare alcun premio, permenon cambierebbe molto. Spero solo che la gente vada al cinema a vedere il film». «Rapito», tratto dal libro di Daniele Scalise (Mondadori), sceneggiato dallo stesso regista con Susanna Nicchiarelli, racconta la drammatica storia del bambino ebreo Edgardo Mortara che nel 1858 a Bologna, per volere di Pio IX, fu sottratto alla
famiglia dopo che una domestica lo aveva segretamente battezzato
per evitargli il limbo. Portato con la forza in un collegio cattolico
crebbe sotto il ferreo controllo
dell’ultimo Papa Re e dopo
la breccia di Porta Pia scelse
di diventare predicatore rompendo
ogni legame con la famiglia
d’origine. «Avevo letto anche
il libro di Messori, tutto a difesa
di Pio IX, ma ci fermammo
quando scoprimmo che Spielberg
stava facendo i sopralluoghi
per lo stesso film», racconta
Bellocchio. «Poi venimmo a sapere
che anche lui si era fermato,
si è detto perché non aveva
trovato il bambino giusto, io credo
per la difficoltà di girare in
inglese una storia come questa.
E così siamo ripartiti». In Vaticano
hanno visto il film? «Lo hanno
visto alcuni sacerdoti, erano
molto emozionati e pensierosi.
E anche alcuni capi della comunità
ebraica, molto commossi.
Mi ha fatto piacere. Ho scritto a
Papa Francesco perché vorrei
farglielo vedere, ma non mi ha
ancora risposto. So che ha mille
cose più importanti da fare, ma
chissà che non trovi il tempo
per una serata divertente, tra
amici… Io attendo.