L’amore per il cinema europeo, l’importanza della sala, l’antipatia per le serie tv (“ma mia
moglie le guarda”), la paura per il futuro del cinema che forse
si vivra’ solo nel salotto di casa e, infine, anche un nuovo film
da girare a Parigi che ricorda Match Point. Cosi’ alle otto di
mattina un Woody Allen, in camicia celeste e ancora piu’ fragile
per i suoi 85 anni, si racconta via Zoom per presentare il suo
‘Rifkin’s Festival’, in sala dal 6 maggio con Vision
Distribution.
Dal regista, nell’incontro stampa, mai nessun riferimento
alla delicata vicenda di Dylan, sua figlia adottiva, che afferma
di aver subito da lui abusi da bambina, tranne la smentita sui
motivi del blocco della distribuzione del film negli Stati
Uniti, per molti causato proprio da questa vicenda. “Penso che
questo film sia solo vittima della pandemia. Quando e’ uscito
molti distributori stavano fallendo perche’ le persone guardavano
la tv a casa. C’e’ stato, insomma, un grande cambiamento nella
distribuzione, ma abbiamo gia’ ricevuto offerte e negli Stati
Uniti sono convinto che alla fine si vedra’ “. Nel futuro di Allen
poi un nuovo film: “Ho gia’ pronta una sceneggiatura da
realizzare a Parigi, ma la pandemia ha rovinato tutto. Non
appena si ripartira’ spero di poter tornare li’ a girarlo. È un
film di cui posso solo dire che guarda un po’ a Match Point”. E
i rapporti umani post pandemia? “Credo che resteranno gli stessi
di sempre. Tutto tornera’ esattamente com’era. Ci saranno persone
che non vorranno entrare piu’ in ufficio e lavorare da casa, ma
fondamentalmente le persone saranno le stesse di prima. Avranno
gli stessi desideri. le stesse ambizioni. le stesse debolezze”.
Per quanto riguarda la differenza tra cinema americano ed
europeo, vero tormentone di Rifkin’s Festival – che ha come
protagonista un ex professore di storia del cinema sposato con
Sue, una sgomitante addetta stampa – spiega Allen dalla sua casa
di Manhattan: “Credo che la spinta principale di un film sia la
sua innovazione, il tipo di realizzazione artistica. Da questo
punto di vista il cinema negli States e’ rimasto immaturo,
guidato com’e’ principalmente dal profitto. I film europei sono
piu’ avanti di quelli americani, sia nella tecnica
cinematografica che nel soggetto, e questa e’ la grande
differenza. Cosi’ quando ero giovane volevo vedere tutti i film
europei mentre quelli americani mi sembravano infantili”.
Della sua personale esperienza del lockdown, spiega il
regista: “Per me non e’ stato tanto diverso da prima. La mattina
mi alzo e faccio le stesse cose: scrivo nella mia camera e
cammino sul tapis roulant. Quando e’ arrivata la pandemia molte
persone sono impazzite perche’ confinate in casa, ma a me non ha
dato fastidio. Sono stanziale: suono il mio clarinetto, faccio
qualche esercizio e la sera scrivo”. Le serie tv? “Non le guardo
mai, ma so che sono fatte molto bene, da quello che mi dicono
mia moglie, i miei amici e mia sorella, ma preferisco guardare
lo sport, basket, baseball o seguire i notiziari”.
Parole di apprezzamento, infine, per il nuovo presidente
degli Stati Uniti: “Penso che Biden sia un buon presidente e
stia facendo cose buone. Spero solo che ottenga la
collaborazione del partito avversario che implementi le sue idee
e questo a beneficio degli Stati Uniti tutti. Certo, e’ arrivato
in un momento caotico, ma ora la pandemia anche grazie a lui sta
regredendo, si stanno aprendo i nostri cinema, i ristoranti e le
scuole”. Ma la sua vera paura resta il futuro del cinema. “A
causa dell’emergenza sanitaria le persone sono rimaste a casa e
hanno pensato di poter fare a meno della sala cinematografica.
Che vado a fare al cinema – dicono – quando premendo un pulsante
il film lo vedo a casa mia sul mio grande schermo con immagini
nitide e un’ottima acustica? Ma quanto e’ diverso vedere il
Padrino o I Blues Brothers insieme a 500 persone in una sala
buia, piuttosto che stare a casa sul divano con il telefono che
squilla!”.