Sessantuno anni Nino D’Angelo, ventotto Livio Cori. Sesta volta all’Ariston per il primo, partito dal mondo dei neomelodici; al debutto festivaliero il secondo, a suo agio nell’hip hop. Ad unire due mondi tanto distanti la musica e
la napoletanità. “Sono stato io a cercare Nino, un’icona per me. Lo volevo nella canzone Un’altra luce, che stavo scrivendo. Ma Sanremo non era proprio nei miei pensieri. A proporlo dopo aver sentito la canzone, è stato lui”, racconta Cori. E così la strana coppia arriva al Festival, con un brano per metà in napoletano. Tra i due è stato amore a prima vista, ma anche una sfida. “Mi sono messo in gioco, facendo qualcosa di completamente nuovo – racconta Nino -. Ma se non lo fai con i giovani, non lo fai mai. Noi per non invecchiare dobbiamo prendere da loro, i giovani per crescere devono un po’ seguire noi. Ma la mia generazione è in debito: ha fallito, ha tolto la luce e il diritto al futuro ai giovani”. L’incontro generazionale a Sanremo, dice, è anche un piccolo risarcimento. Per Cori (che molti identificano con Liberato, il rapper incappucciato la cui identità è sconosciuta) è in arrivo anche il primo vero album dal titolo Montecalvario (il quartiere di Napoli da cui arriva), in uscita l’8 febbraio, “tutto in napoletano, perché volevo fosse legato alla mia partenza”. Nino D’Angelo, invece, sta preparando una tre giorni di festa all’Arena Flegrea di Napoli il 21, 22 e 23 giugno insieme a Gigi D’Alessio.