Anche nei pazienti affetti da parodontite e’ possibile fornire una protesi fissa, ma il
successo dipende dal controllo della malattia. A fare il punto e’
il dottor Giacomo Piacentini.
“Gia’ negli anni 70 – afferma – alcuni autori scandinavi
hanno mostrato come fosse possibile effettuare riabilitazioni
protesiche fisse con risultati stabili nel tempo anche in
presenza di un numero ridotto di elementi dentari e anche quando
uno o piu’ denti avessero perso in parte il supporto dei tessuti
parodontali”. Fondamentale per la riuscita dell’intervento una
forte motivazione del paziente e una buona adesione ai
protocolli di igiene orale.
“La terapia non chirurgica per il controllo del biofilm
batterico, attraverso l’uso di strumenti manuali – spiega
Piacentini – permette di eliminare gli accumuli di placca e
tartaro presenti sulle radici dei denti, che costituiscono la
causa della malattia”. Nella maggior parte dei casi, soprattutto
quando lo stadio della malattia rimane confinato al secondo, la
terapia e’ sufficiente per tenere controllata la parodontite.
“Negli stadi III e IV della patologia – aggiunge – spesso e’
necessario ricorrere a tecniche di chirurgia parodontale per
correggerei difetti presenti dopo la fase non chirurgica. Solo
dopo aver intrapreso queste terapie, se il paziente si dimostra
motivato e se sono stati raggiunti tutti gli obiettivi, come la
chiusura delle tasche, la risoluzione dei difetti ossei e
l’assenza di sanguinamento al sondaggio, e’ possibile effettuare
la riabilitazione protesica, che permette di sostituire gli
elementi mancanti”. Di solito occorre attendere 6 mesi prima di
poter procedere alle fasi definitive. Per risultati stabili nel
tempo, e’ infine necessario che il paziente partecipi a un
programma personalizzato di terapia di supporto e regolari
controlli e sedute d ‘igiene orale professionale in base al
proprio profilo di rischio.