Assediata da folle di turisti giornalieri e incalzati da chi vuole fare della città una Disneyland di laguna, c’è una parte di Venezia che resiste. Meno visibile rispetto alle grandi bellezze d’arte di cui la città è dotata, più nascosta nelle calli segrete, è la “congrega” degli ultimi artigiani, depositari di un sapere antico tramandato da generazioni: dall’abilità delle loro mani nascono piccoli capolavori che vanno oltre la definizione di artigianato. Resistono, nelle loro botteghe d’epoca. E qualcosa finalmente si muove a fianco delle varie associazioni di settore, impegnate a promuovere competenze secolari.
Si è da poco conclusa infatti a Venezia la prima edizione di Homo Faber: Crafting a more human future, ideata dalla Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship di Ginevra. Una grande esposizione negli spazi della Fondazione Cinie dello Splendid Venice Hotel, dedicata alla valorizzazione dell’alto artigianato europeo tradizionale e contemporaneo, con un pool di significative presenze veneziane. Concluso l’evento, ecco un itinerario di scoperta nelle pieghe veneziane più segrete. A cominciare dalla Fonderia artistica Valese, fondata nel 1913 e ultima sopravvissuta, annidata a Cannaregio, a Madonna dell’Orto, angolo tra più affascinanti della città. «Lavoriamo bronzo e ottone. Ornamenti per gondole, maniglie, riproduzioni, sculture di artisti e opere su commissione» spiega Carlo Semenzato, che ha rilevato l’impresa nel 2006. Il negozio di San Marco ben rappresenta la produzione, ma la visita della fonderia tra pezzi in lavorazione, modelli vecchi 300 anni e lo spettacolo della fusione nel crogiuolo è un’esperienza unica (da prenotare).

Il Sestiere Cannaregio accoglie altri tesori. Come lo storico laboratorio Mario Berta Battiloro, famoso per la produzione della foglia d’oro, l’unica realizzata a mano in Europa. Battuti per due ore con un pesante martello, i fogli sono sottili come un velo. Un rituale che per il momento non attrae apprendisti. Gli ambienti, con scalini consumati dal tempo e un giardino, erano nel ’500 la casa-atelier di Tiziano Vecellio. «A Venezia la tecnica è usata dal 1000» spiega il maestro Marino Menegazzo: ha imparato il mestiere da Mario, padre della moglie Sabrina, che gestisce l’azienda con le figlie Eleonora e Sara.

La produzione è destinata a usi artistici, cosmetici – in collaborazione col marchio The Merchant of Venice – e alimentari. Uno dei principali clienti è Orsoni, storica fornace attiva dal 1888, le cui tessere musive di vetro decorano dalla Basilica di San Marco alla Sagrada Familia di Gaudí. Nella “Biblioteca del colore”, così definita dal pittore Virgilio Guidi, sono esposti gli smalti in 3.500 tonalità. Visite il primo e l’ultimo mercoledì del mese e possibilità di workshop (prenotare visit@orsoni.com). Dimensione artigianale pura quella di Stefano Donà, che nella sede di Murano segue a mano tutte le fasi del mosaico, dalla produzione del vetro al taglio. Nel negozio annesso, a prezzo di fabbrica, sono disponibili materiali e kit per mosaici artistici.
Nel mondo complesso del vetro molte sarebbero le realtà da esplorare. Una in particolare, soprattutto femminile: quella delle “perlere”, che creano perle fondendo bacchette di vetro alla fiamma di un cannello chiamato “lume”, e delle “impiraresse”, capaci di infilare minuscole perline di vetro, dette conterie, con aghi sottilissimi. Un’arte candidata al riconoscimento di Patrimonio culturale intangibile dell’umanità dell’Unesco. Perlera di grande esperienza è Alessia Fuga, che a Murano reinterpreta la tradizione in modo creativo e propone corsi e laboratori “esperienziali”. Un altro esempio è Amy West, americana muranese di adozione, dal tocco contemporaneo. Entrambe giovani artiste che hanno scelto questa attività per passione. Marisa Convento è invece una delle ultime impiraresse di Venezia. Nella sua minuscola bottega in Calle della Madola infila con mani sapienti i diversi tipi di perle, la cui storia meriterebbe un racconto a parte. «Il mio mestiere è un privilegio e nello stesso tempo una prova di resistenza» dice. Non lontano, in Campo Santo Stefano, Alberto Valese propone le sue raffinate carte marmorizzate o Ebrû (dal persiano Ebri, nuvoloso), realizzate con una tecnica degna di un alchimista, messa a punto in lunghi anni di studi ed esperimenti.

Artigianato da indossare con le creazioni di Giovanna Zanella a San Lio, ex allieva del maestro Rolando Segalin, uno dei più famosi “caegheri” veneziani. Le suescarpe su misura in pellami pregiati tengono il passo con fantasia. Mentre alla Sartoria dei Dogi, vicino a San Stae, Sabrina Pigozzo confeziona tabarri, tradizionali scialli ricamati a mano, borse in tessuti veneziani e sacche cucite con vele riciclate. Il nostro itinerario potrebbe continuare. Come ha detto Alberto Cavalli, co-direttore esecutivo della Michelangelo Foundation: «Le mani saranno sempre in grado di fare meglio delle macchine. Più digitali diventano le nostre vite, più analogici saranno i nostri sogni».