Acura di Alessia Andreozzi
Rap Iron è il primo cd di Fabio Caterino, in arte Shadaloo. Presentato al pubblico lo scorso 20 aprile, questo lavoro è composto da 12 tracce tutte curate in ogni minimo particolare dal rapper in persona, dalla musica ai testi, alessia 2quasi a voler “chiudere il cerchio con la traccia Selfmade” come dice proprio lui. Classe ’89, Fabio comincia ad approcciare gradualmente alla musica prima ascoltandola e poi producendola. A maggio 2012 fonda insieme ad altri amici e colleghi il collettivo Gas Family e nel 2013 propone il suo primo ep, Forza Risultante, che contiene la famosa traccia Vuless Vulà (la sottoscritta ne consiglia caldamente l’ascolto, ndr) in collaborazione con Pepp Oh ed Oyoshe. La passione che ci mette in quel che fa è tutta espressa nel suo impegno e nelle parole che ci mette nel descrivere il suo percorso, in continuo crescendo personale e artistico.
Nel 2013 hai lanciato Forza Risultante ed adesso sei al tuo primo disco, Rap Iron. Quando è scattata la molla che ti ha fatto dire “adesso faccio un album”?
È successo a gennaio 2015. Era un bel po’ di tempo che non presentavo nulla di mio. L’ultimo lavoro da solista è stato, appunto, Forza Risultante. Ho raccolto un po’ di cose ed ho cercato di capire il mood che volevo dare ed ho iniziato a lavorarci a febbraio 2015. Mi ero dato un anno di tempo ed ho lanciato il cd dopo 13 mesi.
Vuoi parlarci delle collaborazioni presenti nel cd?
Si tratta di 3 collaborazioni, di cui una è solo musicale con Dj Ms. La prima è con Oyoshe con cui ho già lavorato alessia 1nel primo ep e nel suo disco Stand Up, insieme anche a Pepp Oh. Siccome lo ritengo uno degli artisti di mia generazione più validi attualmente nello scenario hip hop, è stato molto naturale per me lavorare con lui. Oyoshe è presente nell’unico pezzo non prodotto da Iken, ma da Rasol (Gas Family anche lui, ndr), che si intitola NTNV (Nun Teng Nient a Vrè, ndr). Si tratta di una traccia molto particolare che si distacca un po’ dalle altre e lui ci sta alla perfezione. Poi c’è Dj Ms, al quale ho dato totale via libera e che si è divertito molto a dare sfogo al suo talento per la canzone Lyrical Sniper. L’ultima collaborazione è quella con Francesco Paura che è il mio punto di riferimento musicale della scena rap del momento e non solo. Con lui è nata prima un’amicizia, quasi un rapporto fratello maggiore – fratello minore, ed ho avuto la fortuna di poterci lavorare.
Rap Iron: perché questo titolo?
Rap Iron non ha nulla a che vedere col personaggio Marvel (Iron Man, ndr). Lo dico perché qualcuno me l’ha fatta questa domanda. Penso che il ferro sia qualcosa di grezzo che si può lavorare e quindi va alla perfezione col mio album: l’abbiamo prodotto tutto da soli, siamo stati in pochi, i temi sono reali. Si tratta di qualcosa di manuale, non artefatto, ci si è pensato poco al confezionamento. È un fatto molto personale, poco articolato, nel senso che non si è pensato a dire “faccio questo pezzo perché deve essere ascoltato da Tizio e Caio”. È molto viscerale, infatti sulla copertina c’è lo schizzo di un fabbro, un po’ anche a testimoniare il fatto che si può tirare fuori qualcosa di buono da tutto. Il discorso è che, fondamentalmente, è un lavoro molto manuale, proprio come quello di un artigiano. È stato anche faticoso perché, per fortuna o per sfortuna, non c’è stato l’aiuto di nessuno ed abbiamo potuto fare molto di testa nostra. C’è la frase di un pezzo che dice “la mia roba non è musicale ma è vera” a testimoniare la cosa. Non c’è stato un voler aggiustare a tutti i costi i pezzi in modo che possano piacere. Piace a me, piace a Iken e va bene. Poi se piace ad altri è bello, altrimenti uno registrerebbe nella propria camera e se lo terrebbe per sé. È ovvio che deve arrivare ad un pubblico. Il lavoro è questo, se viene apprezzato è un piacere, se il contrario, ne farò un altro e poi si vedrà.
C’è una traccia a cui sei particolarmente legato?
Clessidra: è una somma di tante cose che ho racchiuso in questo pezzo. Non si tratta di un fatto dedicato: non è per una persona, un evento o una cosa. È un tirar fuori ed unificare in un solo testo una serie di eventi. Infatti il pezzo è scritto in maniera impersonale, non ci sono riferimenti a niente e nessuno e forse questo, da quello che ho notato da alcuni feedback, ha fatto in modo che chi aveva una storia l’ha legata a modo suo alla canzone. Io so qual è il mio personale riferimento ma non lo dico. Non lo faccio perché credo non sia necessario: ognuno deve tirar fuori quello che sente dalla canzone.
Cosa e chi ti ha ispirato nella produzione del cd?
Ci sono parecchi pezzi in cui racconto quello che ho visto dalla prospettiva di una persona che, fortunatamente, ha avuto chi gli ha saputo spiegare cosa è giusto e cosa è sbagliato. Nel pezzo Gli Occhi dico “ho visto il male ma ho rincorso il bene ad ogni costo” in quanto molte persone della periferia si tirano la zappa sul piede da soli circoscrivendo sempre quello che hanno da dire e riportandolo sempre ad un lato negativo. Io credo che anche da questi luoghi uno può trarre esempi positivi, pur vedendo cose sbagliate.
È scontato domandarti dei tuoi miti dell’hip hop quindi, oltre questi, c’è un altro genere a cui sei legato o un artista che stimi particolarmente del panorama musicale in generale?
Diciamo che io sono cresciuto con tutt’altra musica. Quando ero piccolo mio padre mi piazzava davanti allo stereo e mi faceva ascoltare Pat Metheny, che è un polistrumentista famosissimo, per cui ho imparato ad ascoltare prima la musica e poi a farla. Non mi definisco né artista né cantante: io scrivo e riesco a farlo nel rap perché, fondamentalmente, ho imparato a conoscere la cultura hip hop che mi ha colpito però ti dico che spesso, anche quando sono in fase di scrittura o creativa, io cerco di non ascoltare rap perché è ovvio che, direttamente o meno, ne vieni influenzato. Siccome per me scrivere è un fatto molto personale, è bene tenersi fuori da determinate influenze: se ascolti un pezzo e poi ti metti a scrivere dopo ne sei condizionato sicuramente. Alla fine apprezzo la musica fatta bene, che sembra una frase buttata lì ma è vero. Ci sono comunque generi dei quali non riesco a capirne proprio il linguaggio, tipo il reggaeton, ma comunque sono certo che ogni cosa abbia il suo perché. Ho provato a capire altre cose ma non ci riesco, resta il fatto che non le critico. Fondamentalmente il mio mondo è l’hip hop ed ognuno deve tirar fuori quello che ha, l’importante è essere veri. Mi piace la musica fatta bene e prendo ispirazione da questa.
A che età hai cominciato a fare musica e come?
Fine 2010 circa, produssi le prima strumentali e le proposi a Pepp Oh ed insieme iniziammo a prenderla come un gioco, perché lo era e forse lo rimane tutt’ora. All’inizio scrivevo ma non volevo registrare perché mi sentivo troppo acerbo per mettermi davanti al microfono, cosa che ora viene facile. Non ho mai pensato fosse il mestiere che volevo fare sin da bambino, infatti io ed altri intorno a me abbiamo cominciato molto tardi. Ci sono ragazzi che cominciano intorno ai 14 anni, io a quell’età ho cominciato ad avvicinarmi al genere. Mi è sempre piaciuto ascoltare ma non avevo mai pensato di farne una professione, anche perché non lo è. È una passione in cui si cerca di dare professionalità, almeno la mia è passione. Cerco di curarne gli aspetti, poi se riesco a trasmetterla come qualcosa di professionale vuol dire che abbiamo lavorato bene, se viene trasmessa come un fatto amatoriale vuol dire che stiamo sbagliando qualcosa. Comunque dai 13/14 anni ho sempre ascoltato. Ogni volta che vado ad un live e non devo suonare mi piace stare sotto il palco. Il pubblico ormai sta quasi sparendo in quanto a guardare ci vogliono stare in pochi: molti amano fare musica ma stando sulla ribalta.
Hai detto che se il prodotto viene percepito come amatoriale è perché si sta sbagliando qualcosa. Non credi che ci sia del bello anche in qualcosa del genere?
Credo che dietro al termine ‘amatoriale’ ci possa nascondere con scuse del tipo “non ho gli strumenti, non ho chi mi appoggia ed il pezzo deve uscire così”. No. Se io non ho gli strumenti devo cercare di migliorare per avvicinarmi a chi gli strumenti ce li ha. Fondamentalmente credo ci vogliano le capacità, poi se tu sei certo di averle è bene, se gli altri riescono a capirle tanto meglio. Però c’è da distinguere l’amatoriale col genuino e, cioè, il vero. Uno può essere vero trasmettendo professionalità senza nascondere dietro l’amatoriale qualcosa di falso.

La traccia del tuo album Il Settimo Sigillo l’hai aperta e chiusa con un audio tratto dall’omonimo film del 1957 diretto da Ingmar Bergman. Tu, quindi, prendi spunto anche dal cinema per i tuoi lavori?
Si è la traccia numero 7 dell’album. Il Settimo Sigillo è un film in cui il protagonista si sveglia e gli si presenta la morte. Lui le chiede un’altra possibilità giocandosela a scacchi e così prende il via la storia. Si tratta di un cinema totalmente diverso da quello di oggi e questa pellicola in particolare mi ha ispirato molto e ci ho scritto un po’ di cose. L’audio che io introduco in particolare riguarda la scena di una ragazza che stanno mandando al rogo perché incriminata di stregoneria e di avere rapporti col demonio. Il protagonista, che per tutta la storia è alla ricerca di Dio, le chiede se fossero vere le accuse e lei, oramai convinta del falso a causa delle torture, gli risponde di si. Quando lui le chiede di vedere il demonio perché vuole domandargli di Dio, lei gli dice che ce l’ha davanti: basta guardarla negli occhi. Lui, che fondamentalmente non crede, le dice che non vede altro che il disperato terrore di una ragazza indifesa e nulla più. Quest’ultima parte è quella che chiude la traccia. Il pezzo gira intorno a questo tema, nel senso che spesso circostanze negative ti portano a convincerti che realmente sia tutto così negativo. Traggo ispirazione anche dal cinema e nella fattispecie questo film che ho voluto vedere. Il tema è biblico in quanto si rifà ai Sette Sigilli dell’Apocalisse. Prima di scrivere il pezzo ho voluto approfondire perché mi piace fare così, poi ho chiuso la parentesi film, mi sono domandato cosa mi avesse trasmesso ed ho scritto le parole. Bada che non è un testo rivolto alla pellicola, è semplicemente una cosa che mi ha ispirato nel tirar fuori qualcosa di mio. Non è che ho voluto vedere il film per scrivere la canzone: mi è capitato di vederlo, mi ha lasciato determinate cose, da queste ultime ho tratto delle considerazioni ed ho scritto il testo che, alla fine, si slega anche dal film.
Progetti futuri da solo e col collettivo Gas Fam?
Ora sto girando i video di alcune tracce dell’album. Adesso sto preparando quello per l’Appartenenza, che è appena uscito ed è l’unica traccia volutamente in dialetto dell’album. Credo che il napoletano non debba essere né un ripiego né un cavallo di battaglia, semplicemente quel pezzo andava scritto così e l’ho fatto. Parla di determinate cose che per me andavano raccontate così. In più sto già cominciando a scrivere altre strofe, sto accumulando materiale e poi si vedrà, in base al periodo in cui mi troverò, quale influenza dare al progetto e come accompagnare il prossimo lavoro.
È possibile reperire l’album in digitale al seguente indirizzo:
https://shadaloo.bandcamp.com/releases

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