Lo spettacolo che segna la ripresa è una sorta di work in progress, ossia qualcosa a metà tra il concerto, con tutte le sue distanze imposte, e l’opera vera e propria, che di contatto non può fare a meno. Più la prima che la seconda, in realtà. “La traviata» in forma semiscenica non sarebbe potuta esistere neppure negli incubi peggiori del povero Verdi; come pure questa pandemia, d’altra parte. Poco prima delle 19, col sole ancora alto, ci si ritrova sotto i portici del teatro, dopo 200 giorni, in fila per entrare. Tutti, più o meno, in crisi di astinenza: gli habituée con giacche e cravatte d’ordinanza e qualche occasionale, attratto dal fascino della prima volta. Poco distanti, i ragazzi del liceo Margherita di Savoia, diretti da Carlo Morelli, accolgono la gente suonando. Alle mascherine, e ai termometri a in frarossi, ormai, ci siamo abituati: la cosa più strana, allora, diventa il buio in sala, il brusio sommesso che si spegne del tutto, la voce amplificata che invita a spegnere i cellulari… «Dunque, dov’eravamo rimasti?», avrebbe detto un gentiluomo della tv. Alle cose norma li, appunto. L’enfasi lascia spazio alla curiosità e, per qualcuno, all’emozione. Niente applausi irrituali prima che si levi il sipario, niente gesti che possano sancire il momento storico, a parte il minuto di raccoglimento chiesto, con sensibilità degna di lode, dal soprintendente Lissner per le vittime del Covid. Il San Carlo sceglie di riprendere il discorso, senza squilli ne guizzi fantasiosi, dal punto esatto in cui si era interrotto il discorso, sette mesi fa. Ossia, da Violetta, da Alfredo, dalla Traviata che, in certe circostanze, funziona come un passepartout per far breccia nel cuore della gente, anche di quella che di altri pensieri, non proprio del melodramma, si è riempita la testa nell’ultimo anno e mezzo. La sesta ripresa in quattro anni del capolavoro verdiano sa di usato sicuro, effettivamente; però stavolta, forse, serviva proprio un simbolo che fosse riconoscibile subito, in modo da indicare il cammino agli spettatori disorientati. Dalla prossima, occorrerà ampliare lo sguardo e farlo ampliare al pubblico, alimentandone una curiosità mortificata da molti mesi di nulla. Altrimenti, di che «normalità» parleremmo? In sala non sono presenti vip