Quando l’amico Claudio Francobandiera mi propose un mese fa di presentare il suo libro “Sant’Antonio Abate a Napoli” rimasi molto stupito per diversi motivi:
 Mi sono chiesto perché proprio io? che, pur vivendo a Napoli da sempre e pertanto napoletano in senso onorario e per adozione essendo nato altrove, sono entrato solo una volta nella chiesa di Sant’Antonio Abate, non sono uno storico di cose medioevali, non sono mai stato interessato alla storia dei santi, né ho approfondito episodi della cristianità e le mie conoscenze si limitano a quelle che possiede un buon cristiano come tanti altri?
– Perché proprio io? che svolgo la professione di medico e mi interesso prevalentemente di filosofia ermetica?
Ebbene forse è stato proprio questo mio interesse che ha indotto l’amico Claudio a convocarmi per un compito non proprio facile. Comunque il dado era stato lanciato, il guaio era stato fatto e oggi eccomi qui.
Ritengo la mia partecipazione un arricchimento personale perché è leggendo il libro che ho trovato tante risposte.
E’ un libro in cui si narra la vita di un uomo che è stato fatto santo venerato dalla Chiesa Cattolica, ma si parla anche di leggende e soprattutto di aspetti dell’essere umano che hanno a che fare con la sua presunta componente spirituale.
Leggendo le pagine si ha la sensazione che il santo di cui si parla non ha più l’aspetto di un singolo uomo, egli è diventato qualcosa di incorporeo, una leggenda, un mito che coinvolge tutti gli esseri umani e soprattutto un popolo pieno di calore e di vitalità come quello partenopeo.
Voglio dirvi che l’impostazione che gli AA. hanno voluto dare ad esso non è stata quella di narrare le vicende storiche di un uomo, che del resto durante la sua vita non ha avuto nulla a che fare con Napoli e le sue province. Voi sapete già però che la terra di Partenope, e la Campania in generale, non ha prodotto nessun martire cristiano nel vero senso della parola e, per inciso, lo stesso San Gennaro, definito il santo laico di Napoli, il santo di confine, la divinità pagana della città di Napoli, nacque in Calabria, fu vescovo di Benevento e, venuto in viaggio a Pozzuoli a trovare un amico, fu ivi arrestato nel corso di una tornata persecutoria ordinata da Diocleziano e decapitato insieme con altri prelati il 19 Settembre 305, cinquanta anni dopo la morte di Sant’Antonio avvenuta in terra d’Egitto all’età di 105 anni.
Certamente non vi parlerò io dell’uomo Sant’Antonio Abate e dei suoi miracoli, ce ne è abbastanza nel libro degli AA., ma del significato che egli può rappresentare oggi che viviamo in un periodo di notevole decadentismo in cui gli antichi pilastri, Tempo, Spazio, Causalità, Personalità vacillano e non si crede più a nulla, né alle istituzioni, né alla politica, né alla religione.
Il libro vuole dare un messaggio, dimostrare che è esistita ed ancora esiste una realtà del passato ricca di valori che non si può cancellare del tutto. E questo è un atteggiamento prettamente da ermetista. Anche quando i nostri AA. ci parlano del Santo attraverso la spiegazione della iconografia che ha abbellito e valorizzato la chiesa di Sant’Antonio o Sant’Antuono che dir si voglia, lo hanno fatto secondo una visione sintetica propria dell’ermetismo che pone l’uomo al centro di un tutto dove non esiste né centro né periferia. E’ così anche quando descrivono il borgo che sorge e si sviluppa attorno alla chiesa sede del culto, è un luogo parte integrante di Napoli.
Sono passati artisti illustri nella chiesa di cui trattiamo, un’opera d’arte è una forma di fantasmagoria ermetica alla cui base esiste un tutto unicum dove le linee di demarcazione formale fra i diversi livelli e ordini sono annullate e i fatti psicologici o spirituali diventano altrettanto reali e altrettanto validi come lo sono i fatti del mondo fenomenico. Infine la descrizione degli AA. ci porta a quel senso di appartenenza ed a un modo di vedere le cose e i luoghi dove si vive, come proprie e che perdura tutt’ora nel borgo: anche questo è un insegnamento della filosofia ermetica.
James Hillman ha parlato dell”anima dei luoghi’ nel senso che il posto dove si è nati, si vive e si opera, rappresenta una parte ineludibile e mai sopita di noi stessi; essa è talmente infusa nell’essere che ne plasma il carattere e la personalità.
Il santo Antonio Abate allora non è più una figura umana, colui che ha fatto veri o presunti miracoli, il rifugio dei malati, ma rappresenta il riferimento sicuro, il punto di raccoglimento e di protezione per l’uomo in generale; rappresenta colui che guida le nostre azioni, egli è colui al quale nel momento della necessità ci si può rivolgere per ottenere la guarigione di una malattia.
Quindi non è solo di un santo che il libro vuole parlare, ma anche di un modo di vivere e di interpretare il mondo che ci circonda. Non deve sorprendere che nonostante si è pervasi dal cinismo e dallo scetticismo del nostro tempo, anche per gli estranei e i non addetti ai lavori, c’è qualcosa di affascinante perfino di romantico nelle vicende degli uomini che hanno dato vita alla cristianità in occidente.
Permettetemi a questo punto di segnalarvi due riferimenti descritti nel libro che possono rientrare in un immaginario collettivo tradizionale e che indubbiamente fanno parte del pensiero di ognuno di noi. Ve ne parlerò brevemente.
A) Il bastone che nelle icone viene mostrato nella mano destra del santo ha la stessa valenza di significato del pastorale del vescovo, vuole sì rappresentare la croce (in forma di TAU) dove morì Cristo, ma è anche il simbolo che nella filosofia ermetica viene ricondotto alla volontà dell’essere: volontà che viene formulata a livello cerebrale e scende poi lungo il midollo spinale della colonna vertebrale dell’uomo che vive e opera nella realtà di tutti i giorni.
Quale simbolismo può essere più appropriato di un bastone?
A) Il secondo aspetto è il “fuoco” che, simbolicamente, viene ricondotto a Sant’Antonio abate per una serie di motivi riferiti nel libro. Anche il fuoco deve essere visto come una metafora; esso, secondo questa interpretazione non è un fuoco distruttore, ma il fuoco interiore dell’Amore inteso in tutti sensi e che deve essere mantenuto sempre acceso e mai deve essere spento. Molti di voi ricorderanno, per averlo studiato sui libri di scuola, il ruolo delle vergini vestali il cui compito era quello di mantenere acceso il fuoco nel tempio di Vesta pena la morte. E’ chiaro ed evidente che non di un fuoco reale si vuole intendere, ma di un fuoco interiore come quello descritto dal nostro Giovanni Pontano, illustre esponente dell’umanesimo napoletano del ‘400, che nella sua abitazione riceveva amici letterati per leggere e parlare di arte di letteratura e di magia. Ebbene il Pontano era un fervente ermetista famoso per la sua “lettera sul fuoco filosofico”; in essa alludeva certamente non a quello visibile distruttore di tutto, ma a quello interiore dell’animo umano che riguarda allo stesso tempo la componente spirituale e materiale dell’essere, che diventa costruttore di vita e attraverso una maggiore consapevolezza di sé e una spinta a trasformarsi e a migliorarsi ogni giorno di più è alla base di ogni evoluzione umana.
Il libro però è pieno di spunti che inducono a pensare e a riflettere su noi stessi. Esso non è soltanto un racconto di fatti e di come un santo possa aver interferito realmente e anche indirettamente sulla quotidianità di molti, esso nasconde degli interrogativi che ciascuno certamente si porrà leggendolo.
Quindi concludendo, questo libro è anche un saggio che sa di filosofia e che ci parla della realtà umana, a volte tanto misera, a volte tanto elevata.
Non mi resta a questo punto che ringraziare voi tutti per essere venuti questa sera a sentire parlare solo di un libro stampato, ma soprattutto ringrazio l’amico fraterno Claudio Francobandiera e il coautore Marco Fiore per avermi voluto coinvolgere quale testimone di esso .