“Centinaia di richieste d’aiuto, non hanno da mangiare”. Abbiamo fame e nessuno ci aiuta. Prima per strada lavoravamo, adesso ci finiamo a dormire negli scatoloni. Senza clienti non possiamo più pagare l’affitto di una stanza. Di coronavirus si può morire anche senza prendere la polmonite». Poco dopo mezzogiorno quattro ragazze sono in coda davanti alle cucine economiche popolari di Napoli. Tré straniere e un’italiana: poco più che ventenni, non sembrano studentesse. «Fino a un mese fa – dice Gloria, partita tré anni fa dalla Nigeria – a quest’ora ero appena andata a letto. Ora, già all’alba, mi svegliano i crampi della fame. La vergogna questa volta può fare una strage». La catastrofe del coronavirus in Italia travolge anche 120 mila prostitute. Il divieto di uscire di casa, le norme sul distanziamento sociale e la chiusura dei locali, azzerano un business da 4 miliardi all’anno. Le vittime sono donne e transessuali: il 55% è extracomunitario, spesso clandestino, quasi sempre schiavo di tratte e sfruttatori. Per queste invisibili, più esposte al contagio e prive di assistenza medica, non ci sono aiuti. Le ragazze in fila L’epidemia fa esplodere nuove povertà ed emarginazioni diverse. «A pranzare qui—dice suor Albina – vengono in 170 al giorno. Quasi tutti anziani, disoccupati, migranti e senza fissa dimora. Per la prima volta vedo impennare il numero delle ragazze che cercano cibo. Non chiediamo chi sono, ma la professione perduta è chiara». Sei prostitute su dieci, fino ai primi di marzo, vendevano sesso per strada. La maggioranza pagava una quota a chi le sfruttava e spediva il resto alla famiglia in patria. Poche quelle che hanno dei risparmi. «Difficile stimare quante sono ridotte alla fame.