Cosa succede quando dopo un brusco crollo l’attività economica inizia faticosamente a rimettersi in marcia? I manuali di economia spiegano che è ragionevole – per quanto all’apparenza paradossale – attendersi un aumento del tasso di disoccupazione, perché le persone che prima disperavano di trovare un impiego provano a rimettersi ¡n gioco. Ed anche che la componente del mercato del lavoro che si attiva più rapidamente è quella femminile, sia perché maggiormente colpita nella fase precedente sia per la necessità di dare un sostegno al bilancio familiare. I dati resi noti oggi dall’Istat e relativi al mese di luglio sembrano adattarsi piuttosto bene a questo scenario, tenendo conto del fatto che quella attraversata dal nostro Paese (e da molti altri) non èstata una semplice recessione ma una tempesta senza precedenti, portatrice di conseguenze ancora tutte da valutare. Dunque dopo quattro mesi, di cui almeno tré caratterizzati da un severo lockdown, a luglio l’occupazione è tornata a crescere. Ma l’incremento complessivo di 85 mila unità è assorbito quasi interamente dalle SO mila donne al lavoro in più, mentre per gli uomini la situazione è di sostanziale stabilità. Era successo anche dopo il tracollo del 2008: la maggiore dinamicità delle lavoratrici dipende in parte dalla collocazione nel settore dei servizi in parte anche dalla possibilità di compensare occupazione maschile a volte più difficile da recuperare. Insomma – semplificando – le donne riescono spesso ad adattarsi meglio. Meno in linea con le attese – in un quadro generale che comunque risente ancora del massiccio ricorso alla cassa integrazione – è forse il limitato aumento del lavoro dipendente a tempo determinato, mentre calano i lavoratori autonomi: una quota dei quali è stata messa in forte difficoltà dalle conseguenze della pandemia. Di certo a luglio molte persone sono tornate a guardarsi intomo, mentre nei mesi precedenti, a parte le prospettive fosche, le stesse regole del lockdown rendevano quasi impossibile la ricerca effettiva di lavoro. Gli inattivi, coloro che pur essendo in età lavorativa ne hanno un impiego ne lo cercano, sono calati di 224 mila unità: una diminuzione che corrisponde grosso modo alla somma degli 85 mila occupati totali in più e dei 134 mila che invece sono andati a ingrossare la platea dei disoccupati, nella speranza di poter trovare preso un impiego. La nota negativa riguarda i giovani tra i 15 e i 34 anni che sono stati penalizzati in maniera più dura dalla crisi e sembrano aver bisogno di tempi più lunghi per recuperare. Tornando all’occupazione femminile, questa è storicamente uno dei punti deboli dell’assetto economicoe anche sociale del nostro Paese; ma proprio a partire dagli anni della grande recessione, iniziata nel 2008, si sono manifestati alcuni segnali positivi. Per misurarne in modo approssimativo l’entità basta guardare al numero assoluto degli occupati, che nel nostro Paese era pari a 23,2 milioni ad aprile del 2008, momento di picco prima della caduta. Gli uomini erano 13,9 milioni, le donne 9,3. Questo livello complessivo è stato recuperato solo nel 2018 (pur con un calo delle ore lavorate a causa del maggiore ricorso al part time).