“I delinquenti vanno messi in carcere e la chiave va buttata”. Frasi del genere le abbiamo sentite pronunciare anche da politici di primo piano. La detenzione come scopo della rieducazione del condannato? “Una perdita di tempo, il malvivente è delinquente e basta”. Certi convincimenti nell’opinione pubblica sono radicati e vanno smontati con il ragionamento, con il confronto, con l’esempio. La Costituzione su queste tematiche è chiarissima: presunzione d’innocenza, divieto di pene inumane e degradanti e, in particolare, il basilare principio della “rieducazione” del condannato come scopo precipuo della detenzione. Chi pensa che il malavitoso è un soggetto che sarà sempre condizionato dal suo DNA non potrà mai accettare l’idea del recupero sociale. Siccome il DNA non c’entra e i fattori che inducono alla delinquenza sono tanti, bisogna puntare ad eliminarli e combatterli, tra l’altro, con la formazione e l’informazione. Le congetture e i luoghi comuni, questi sì fanno aumentare i livelli di criminalità.

E’ proprio un interessante inedito quello che ha visto i giudici della suprema Corte costituzionale in giro nelle scuole e nelle carceri del nostro Paese. Eravamo abituati a vedere, e considerare, i componenti la Consulta come dei vecchi signori “tutta testa e poche gambe”. Nel senso di soggetti dalla brillantissima carriera che “incollati” attorno ad un tavolo emanavano “sentenze” estreme. Nel senso che giudicavano la legittimità degli atti dello Stato e delle Regioni, dirimevano i conflitti tra i vari poteri istituzionali e tra questi e le Regioni, decidevano sugli atti di accusa nei confronti del Presidente della Repubblica e verificavano l’ammissibilità dei referendum abrogativi. Mica uno scherzo! Bella responsabilità hanno i 15 componenti – a regime completo – dell’Alta Corte. L’immaginavamo chiusi nel Palazzo della Consulta a studiare carte, a confrontarsi tra loro su mille questioni e cavilli, per poi scrivere sentenze decisive per l’ordinamento dello Stato.

Insomma, le istituzioni certo presenti, ma di fatto lontane mille miglia dalla così detta società civile. Poi, d’improvviso, il colpo di scena. Tutti insieme, appassionatamente, in giro per le scuole ad incontrare 8000 studenti, disseminati in 36 scuole da Nord a Sud, per parlare di Costituzione. E chi meglio dei componenti la Consulta poteva fare lezioni sulla suprema Carta? Si può immaginare l’interesse di quei studenti che hanno avuto la “fortuna” di poter recepire quegli insegnamenti. Non scorderanno mai quei maestri, ma soprattutto quello che hanno spiegato loro in merito alla Costituzione del nostro Paese.

In un’intervista al Corriere della Sera il presidente della Corte, Giorgio Lattanzi, così motiva il “viaggio in Italia” dei giudici: ”Un’esperienza nata dalla volontà di fare uscire la Corte dal palazzo, per incontrare i cittadini e farci conoscere non solo attraverso le sentenze, ma anche personalmente. E’ un modo per avvicinare l’istituzione al Paese reale e viceversa, molto utile anche a noi”.

I giudici della suprema Corte non si sono limitati a parlare al “futuro” della nostra Italia. Hanno anche scelto un percorso più difficile e meno comprensibile da parte di quel pezzo d’opinione pubblica che considera i delinquenti irrecuperabili e il carcere uno strumento di punizione e basta. A tal proposito il presidente Lattanzi afferma che crede sia utile ed opportuno dialogare con i carcerati “non per discettare della ‘ Costituzione più bella del mondo ’ bensì per ribadire che secondo quella Costituzione la legittima privazione della libertà personale non cancella la tutela dei diritti. Il messaggio è: la Costituzione e la Corte ci sono per tutti, anche per voi”.

Va ricordato che la Consulta, con una “sentenza monito”, ha sollecitato il legislatore a risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. Se non si dovesse trovare una soluzione ci potrebbero essere estreme conseguenze: bloccare l’ingresso dei condannati in quelle carceri ritenute invivibili. Parola dei giudici costituzionali!

L’attuale governo ha annunciato la costruzione di nuove carceri con l’intento, ad avviso di chi scrive, non tanto di migliorare la vita dei condannati, ma per aumentare il numero degli “ospiti”. Un segno in tal senso viene dalle critiche del nuovo ministro della Giustizia al nuovo ordinamento penitenziario che, tra l’altro, prevede la possibile sospensione della pena ai condannati fino a 4 anni. Il giudice deve valutare, caso per caso, se sia opportuno il carcere o una sanzione alternativa. L’obiettivo dovrebbe essere sempre uno: la rieducazione o meglio la risocializzazione del condannato. Lo impone la Costituzione.

di Elia Fiorillo