di Elia Fiorillo

Pure le esposizioni universali cambiano. Una volta i simboli del futuro sviluppo erano raffigurazioni architettoniche-artistiche. Il complesso dell’EUR (Esposizione Universale di Roma) degli anni Trenta, ad esempio. Anche se in verità elia 1l’evento poi non ci fu a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale. A Parigi, invece, la Torre Eiffel fu l’emblema dell’esposizione del 1889. Impostazioni nazionalistiche destinate, per lo meno nelle intenzioni dei paesi ospitanti gli eventi, a impressionare e “contaminare” il mondo di “progresso”. Il nazionalismo non si è perso ma oggi deve fare i conti con la globalizzazione e, volente o nolente, deve misurarsi con essa.

L’Expo 2015 è la rappresentazione della voglia d’esaltazione di tratti caratteristici tutti italiani, come in tutte le altre iniziative del genere, ma il tema centrale stavolta è globale: alimentazione e nutrizione. “Riuscire a garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del Pianeta e dei suoi equilibri.” Solo cent’anni fa un argomento del genere non sarebbe stato nemmeno immaginato. L’evoluzione era ritenuta ben altra cosa. Oggi, nel condominio globale in cui siamo, il futuro passa per tematiche universali che sottendono linee comuni d’azione per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Insomma, tutti insieme appassionatamente per provare a sconfiggere, tra l’altro, “la fame nel mondo”. Almeno questo dovrebbe essere l’impegno morale dei paesi presenti all’Expo 2015.

“La sfida da vincere sull’alimentazione – dichiara il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina – può unire anche chi si è trovato spesso su fronti opposti nello scacchiere internazionale: la di Expo offre opportunità inedite per lanciare nuove alleanze in favore di progetti di sviluppo improntati alla sostenibilità”. E come non augurarsi che i propositi del ministro Martina, che ha la delega per l’Expo, non diventino realtà? C’è però da notare che la sfida sull’alimentazione – che è essenzialmente una sfida di solidarietà – non può essere truccata da interessi di bottega, che pur ci sono. Se come Paese vogliamo essere credibili la Carta di Milano dovrebbe portare le firme di quante più istituzioni possibili, partiti compresi.

“Noi donne e uomini, cittadini di questo pianeta, sottoscriviamo questo documento, denominato Carta di Milano, per assumerci impegni precisi in relazione al diritto al cibo che riteniamo debba essere considerato un diritto umano fondamentale”. Così inizia la Carta di Milano. E mentre scorrono sotto i nostri occhi, leggendo la Carta, i tanti buoni propositi che essa contiene, la mente va ai morti in mare; alle stragi d’innocenti, la cui unica colpa era la voglia di vivere; la richiesta del “diritto alla vita”.

Quest’anno la festa del Lavoro, il Primo Maggio, si è tenuta a Pozzallo, in provincia di Ragusa. Una scelta che Cgil – Cisl – Uil hanno fatto per sottolineare l’esempio straordinario di accoglienza, solidarietà e fratellanza che questa città, insieme a tante altre città della Sicilia, ha compiuto. “Nell’altra sponda del Mediterraneo – ha affermato Annamaria Furlan, leader della Cisl – muoiono ogni giorno migliaia di uomini, donne anziani e bambini per fame, per la guerra, per la minaccia del terrorismo dell’Isis. Noi dobbiamo essere pronti come Europa ad accoglierli e a dare loro un futuro”.

Sia a Milano, all’Expo, che a Pozzallo, alla festa del Primo Maggio, si è celebrata la voglia di “futuro” che nel periodo storico in cui viviamo è soprattutto bisogno di “solidarietà”. Non ci può essere evoluzione quando si muore ancora per fame, per stenti, per guerre. Certo, i nazionalismi sono duri a morire. La loro contrapposizione esasperata, alla cui base c’è il cieco egoismo, non può che portare al ritorno di un funesto passato. Il “progresso” però oggi si chiama “solidarietà”, senza se e senza ma.

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