La domanda viene spontanea: “Ma ci sono o ci fanno?” In campagna elettorale se ne vedono di “tutti i colori”, questo è risaputo. Alleati però che si contraddicono un giorno sì e l’altro pure qualche interrogativo lo pongono. Potrebbe essere una strategia per acchiappare quanti più voti possibili.

Un alleato fa, diciamo così, il poliziotto buono, l’altro il cattivo e l’altro ancora va a sostenere uno dei due, secondo convenienza.

Il trio in campo che già si vede in pool position per varcare la soglia di Palazzo Chigi è quello formato da Berlusconi, Salvini, Meloni. Tutti e tre sono certi di poter designare il prossimo premier. Nel senso che il leghista Matteo e la sorella-fratello d’Italia Giorgia già hanno avanzato la propria candidatura, mentre per Berlusconi il discorso è diverso.

L’ex Cavaliere, pur ripetendo che Forza Italia sarà il primo partito della coalizione, non avendo l’agibilità politica per fare il capo del governo e sperando nella giustizia europea che tarda ad arrivare, chiama provvisoriamente in sua sostituzione il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani. Poi, però, mette le mani avanti, valutando le complicazioni della nuova legge elettorale. Mai con Renzi, afferma categorico, anche se fino a qualche tempo fa sembrava un’ipotesi d‘alleanza possibile post voto, ovviamente per la “governabilità” del Paese. Se il suo raggruppamento non dovesse raggiungere la maggioranza allora si potrebbe sostenere l’attuale governo Gentiloni, con qualche necessaria ed opportuna ricalibratura, “magari modificando la legge elettorale – afferma il presidente di FI – e facendone una migliore, anche se non so se ci sarebbe maggioranza in Parlamento per cambiarla”. La risposta del Matteo padano è immediata: “Chi vota Lega sceglie la chiarezza, noi non andremo mai a sostenere governi con altri…”.

Il conto dei punti di divergenza tra i big del centro-destra è lungo, va dalla Legge Fornero, al vincolo europeo del 3% deficit/Pil, poi c’è la leva obbligatoria, il condono fiscale, l’Islam, l’obbligatorietà dei vaccini, la flat tax, l’abolizione del Jobs Act e via dicendo. Punti di vista discordi per rastrellare quanti più voti possibili? Teoricamente potrebbe pur essere, ma poi una volta vinte le elezioni i nodi verranno al pettine. E come si risolveranno le tematiche, con un lancio di dadi? Il quesito è rimandato al futuro, quando la coalizione approderà al governo.

Un sorridente Berlusconi, nella trasmissione di Lucia Annunziata, precisa che certo differenze ci sono con i suoi alleati, in caso contrario militerebbero nello stesso partito, ma quello che conta sono i dieci punti del programma concordati. Qualche difficoltà – si fa per dire – ci deve essere nel terzetto del centro-destra se il ritornello che va ripetendo, inascoltata, la signora Meloni è che bisogna che si firmi un patto anti “inciucio”. E anche la puntualizzazione di Berlusconi su Salvini che non si alleerà dopo il 4 marzo con Di Maio sembra sospetta. Insomma, “a pensar male…”.

L’evento più sconvolgente di questa campagna elettorale è la strumentalizzazione della sparatoria ad opera di Luca Traini, candidato con la Lega Nord alle elezioni del 2017 al Consiglio comunale di Corridonia, un comune di 15mila abitanti nel Maceratese. Per vendicare, a suo avviso, Pamela Mastropietro, la diciottenne romana uccisa a Macerata ad opera presumibilmente di alcuni nigeriani, Traini ha sparato all’impazzata su dei migranti ferendone sei. Difronte ad atti del genere non si possono trovare scusanti, né pensare di poter portare a casa benefici elettorali. C’è solo da condannare. In caso contrario c’è il rischio dell’emulazione, dell’eroe che si fa giustizia da sé perché lo Stato di diritto non è capace a combattere le ingiustizie e via dicendo. Accusare, quindi, la sinistra come fa Salvini di “avere le mani insanguinate per tutti i clandestini che ha lasciato entrare in Italia” è buttare benzina sul fuoco. E’ provare a legittimare gesti inconsulti che si potrebbero ripetere. E’ dimenticare il passato: l’accordo di Dublino, le sanatorie dei 694 mila migranti regolarizzati nel 2002 e dei 294 mila nel 2009, la legge Bossi-Fini, la malaugurata guerra contro il dittatore libico Mu’ammar Gheddafi. Certo, una cosa è essere al governo del Paese un’altra è stare all’opposizione!

Anche le manifestazioni di piazza per deplorare condotte pazzoidi possono diventare pericolose quando si trasformano in palcoscenici per la celebrazione di posizioni radicali avverse. Difronte all’odio si risponde con una moneta diversa: la fermezza, unitariamente espressa, della riprovazione senza “se e senza ma”.

A cura di Elia Fiorillo