“L’annotazione che faccio riguardo alla nostra citta’ e’ che quando diventa meno forte la mediazione
culturale, quando si allenta uno sforzo di elaborazione e di
costruzione culturale e politica dentro le grandi masse
popolari, allora cambiano tante cose, allora nei grandi
quartieri delle nostre citta’ si afferma l’indebolimento della
sinistra ed e’ cresciuta cosi’ la forza del Movimento Cinque
stelle che poi in questi ultimissimi anni e’ venuta declinando.
Ma qui si aprirebbe un discorso sul futuro e mi fermo”. Cosi’
Antonio Bassolino, ex presidente della Regione Campania, ex
sindaco di Napoli e gia’ esponente di primo piano del PCI-PDS, ha
concluso il suo intervento nel corso della presentazione online
del volume “Eravamo comunisti”, di Umberto Ranieri (Rubbettino
Editore), cui hanno partecipato diverse figure del panorama
politico, culturale e mediatico di Napoli, tra cui Paolo Macry,
Marco De Marco e Giulio Di Donato.
Bassolino, che da pochi giorni ha annunciato la sua
ricandidatura alla carica di primo cittadino di Napoli, nel
corso del dibattito non ha fatto alcuna menzione al suo
annuncio. Piuttosto si e’ unito alla riflessione corale,
coordinata da Francesco Saverio Lauro, ex presidente
dell’Autorita’ portuale di Napoli, sulla storia del Pci in
occasione dei cento anni dalla fondazione e tema del volume di
Ranieri. Una riflessione in cui i diversi relatori hanno
sottolineato errori e fallimenti del Partito comunista italiano.
In particolare Bassolino ha evidenziato: “Il vincolo
internazionale e’ stato un vincolo troppo forte e troppo rigido e
questo ha condizionato la storia e l’ evoluzione del Pci
italiano, un vincolo che ha fatto si’ che il Pci non poteva porsi
come alternativa di governo”. “Su Budapest – ha proseguito – e’
giusto sottolineare: nella direzione nazionale del Pci si era
unanimi non solo nel non condannare ma per difendere
l’intervento armato sovietico. Ci fu una sola voce di vero
dissenso, quella di Giuseppe Di Vittorio che ebbe contro tutto
il gruppo dirigente. Qui c’e’ poco da fare, conta la formazione
sindacale, il suo legame con le masse reali, un legame meno
ideologico e piu’ reale. Incide anche l’origine di classe di
Giuseppe Di Vittorio, bracciante, dirigente sindacale. Di
Vittorio non sopportava fisicamente ancora prima che
intellettualmente che si potessero mandare i carri armati contro
gli operai. E’ una delle figure piu’ significative della storia
della sinistra italiana”.
“Quello del ’68 – ha proseguito passando in rassegna i ‘nodi’
della storia del Pci – e’ l’ultimo treno che passa. Infine nel
’79, quando l’Urss invade l’Afghanistan, io ero un giovane
membro e nella direzione nazionale ho cercato di spingere per
una posizione di rottura e ricordo bene che Giorgio Amendola nel
suo intervento si alzo’ e sbattendo un pugno sul tavolo disse: lo
vuoi capire o no che il mondo e’ diviso in due e noi dobbiamo
stare da quella parte?”. Anche Berlinguer, secondo Bassolino,
era bloccato da certi limiti: “Oltre al mito dell’Unione
Sovietica c’era un altro mito, un’altra realta’ , in tutti, anche
in Berlinguer e quest’altro mito riguardava anche generazioni
piu’ giovani. Era il mito dell’unita’ del partito e delle masse
popolari, bisognava stare attenti a non rompere questa unita’ e
questo e’ stato un filo che ci siamo portati dentro anche quando
e’ finito il Pci con Pds, Pd e anche io ne so qualche cosa”.