L’intervento Autismo a Napoli, le famiglie sono sole di Toni Nocchetti Giovanna è la mamma di un ragazzo che tra poco diventerà maggiorenne. Al Sud quando si compiono 18 anni e sei disabile le cose cambiano e, spesso, si complicano. Francesco è, nel freddo linguaggio scientifico, un ragazzo con disturbo dello spettro autistico grave. Parla poco e male e il suo grado di socializzazione è molto basso. La sua mamma, come tanti genitori senza prospettive, ha cercato con tutte le forze di farlo permanere nella scuola media il maggior tempo possibile consapevole che il dopo sarebbe stato un buco nero. Per i ragazzi come suo figlio le strutture semi-residenziali sono, se si ha la “fortuna” di nascere a Sud del Garigliano, pochissime e con liste d’attesa inespugnabili. Ovviamente Giovanna spera che Francesco trovi un posto dove venga trattato bene anche se i racconti degli altri genitori la preoccupano. Sei o sette ragazzi in una stanza con un solo operatore, qualche livido scoperto sul corpo e mutamenti di umore sempre più frequenti nei ragazzi non sono una buona premessa per affidare un figlio a qualcuno. Il tentativo di Giovanna di ancorare nella scuola media suo figlio quest’anno è destinato al fallimento perché, legittimamente, la scuola ritiene il suo percorso concluso. La storia di suo figlio è una storia condivisa con circa 10.000 studenti disabili cognitivi gravi della nostra regione. Il dibattito politico spesso utilizza linguaggi misteriosi e lontani dal sentire comune ma, nei proclami dei suoi maggiori protagonisti, i problemi della gente sembrano sempre al primo posto. In questo caso il dilemma di Giovanna si chiama pomposamente rete dei servizi sociosanitari. In questo ambito la regione Campania mostra un ritardo di circa 20 anni rispetto a quelle del Centro-Nord. Due decenni che rappresentano per Giovanna un macigno che nessuno sembra riuscire a rimuovere e che, nella triste prospettiva del regionalismo differenziato reclamato da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, potrebbe diventare una pietra al collo che trascinerà negli abissi il fragile welfare nel Mezzogiorno. Forse se a tutti leader delle forze politiche del Paese iniziassimo a chiedere cosa farebbero concretamente per Giovanna e suo figlio sarebbe un passo avanti per una società sempre più lontana dai bisogni di chi è più debole. Qualcuno dovrebbe pur ricordare ai segretari dei partiti nazionali che in Italia la spesa sociale comunale prò capite per la disabilità (Istat dati 2016) è, a fronte di una media nazionale di 2.854 euro, per la Lombardia e il Veneto superiore ai 4.000 euro, mentre in Campania è di 866 euro. Cosi si capisce anche molto meglio perché per Giovanna e suo figlio le prospettive sono “strutturalmente” svantaggiose. Strutturalmente e da oltre 20 anni. Con buona pace della ignavia della classe politica. La storia di Giovanna e suo figlio Francesco che ha compiuto 18 anni Non può più stare a scuola, ora inizia l’odissea per garantirgli assistenza –