Sviluppato un farmaco sperimentale capace di far regredire i segni dell’Alzheimer nei topi: agisce
potenziando la rimozione delle proteine difettose che si
accumulano nel cervello, e determina un miglioramento di
memoria, ansia, depressione e performance motorie, anche nei
casi di malattia avanzata. Il risultato e’ pubblicato sulla
rivista Cell dai ricercatori dell’Albert Einstein College of
Medicine di New York, che sottolineano come sia ancora presto
per ipotizzare simili effetti anche nell’uomo, sebbene ci siano
diversi indizi che fanno ben sperare.
“Ci incoraggia il fatto che il calo della pulizia cellulare che
contribuisce all’Alzheimer nei topi si verifica che nelle
persone malate, suggerendo che il nostro farmaco possa
funzionare anche negli esseri umani”, afferma Ana Maria Cuervo,
tra i coordinatori dello studio. Il meccanismo di pulizia a cui
fa riferimento si chiama ‘autofagia chaperone mediata’, e
consiste nella rimozione delle proteine difettose da parte di
altre proteine spazzine, chiamate ‘chaperone’, che trasportano
la ‘spazzatura’ agli inceneritori cellulari, i lisosomi,
organelli contenenti enzimi digestivi che separano e riciclano.
Per buttare correttamente i rifiuti, questi spazzini molecolari
devono agganciare il loro bidone al recettore LAMP2A posto sulla
membrana dei lisosomi: piu’ recettori LAMP2A sono presenti e
funzionanti, piu’ e’ efficiente la pulizia. “Noi produciamo la
stessa quantita’ di recettori LAMP2A per tutta la vita, ma quando
invecchiamo tendono a deteriorarsi piu’ velocemente”, precisa
Cuervo. Cosi’ intorno ai 70-80 anni, l’attivita’ di pulizia cala
in media del 30% e, in caso di malattia neurodegenerativa,
peggiora ulteriormente.
Il nuovo farmaco sperimentale, chiamato CA, agisce aumentando il
numero dei recettori LAMP2A sui lisosomi: dopo 4-6 mesi di
somministrazione orale, i topi hanno mostrato un miglioramento
dei sintomi dell’Alzheimer e una riduzione degli agglomerati di
proteine difettose nel cervello. “Questo significa che il
farmaco potrebbe aiutare a preservare la funzione dei neuroni
anche negli stadi avanzati di malattia”, conclude l’esperta.